Taluni lo descrivono come forza rigeneratrice, altri tentano in tutti i modi di esorcizzarlo. E ’il silenzio. E’ quello “stato” che non ha una definizione così netta e precisa, perché, dimmi, che cos’è il silenzio? A livello fisico lo possiamo individuare come assenza di suono o rumore, tuttavia, quando ogni suono esteriore cessa, rimane il frastuono della nostra anima. Quando tentiamo di definirlo ne risulta chiara la complessità. E’ la dimensione in cui l’uomo trova rifugio dalla realtà a volte assordante, è il linguaggio, come dice Leopardi, di tutte le forti passioni, dell’amore, dell’ira, della meraviglia, del timore. E’ il linguaggio che si sviluppa nell’intimità, laddove la parola sarebbe di troppo. Il silenzio, tuttavia, non ha nulla a che vedere col mutismo. Stare in silenzio non vuol dire semplicemente tacere, tutt’altro, silenzio e linguaggio sono imprescindibili l’uno dall’altro. Non è una forma passiva, il silenzio, bensì una forma di comunicazione ricca di contenuti. A volte diventa scudo contro parole vuote e sterili, a volte diventa lettura di palpiti inspiegabili. In questo momento tu stai leggendo un sacco di silenzi. Li leggi fra le righe, fra le note musicali, fra un respiro e l’altro. La musica nasce, si sviluppa e muore nel silenzio, l’arte è fatta di silenzi e ancora, il silenzio è la sfera che ci riconduce a Dio. Oggi, in particolare, vivendo nell’industrializzazione e in società strutturate e finalizzate alla produzione, non siamo solo vittime di inquinamento acustico o ambientale ma anche di un inquinamento linguistico, dove il caos non ci permette più di ascoltare il non dicibile. Ma il silenzio bisogna viverlo. Il silenzio del poeta non è quello del lettore, il silenzio del musicista non è il silenzio di colui che ascolta, perciò è così complesso. Non esiste IL silenzio, esistono i silenzi e per produrli bisogna viverli. Non è sufficiente non parlarli e non raccontarli, i silenzi sono vissuti interiori. Nel “Silenzio di Dio”, Panikkar ci dice che il progresso e le strutture architettoniche ci hanno costretto a una solitudine a volte non consapevole, una solitudine che ci porta a riempirci di rumori di ogni sorta, perché il silenzio è sgomento. Va riempito con radio, tv, cellulari e così via. Giocare consapevolmente al silenzio, a volte, può essere istruttivo: La parola rompe il silenzio. Ma lo fa anche apparire. Trovare spazi di ascolto oggi non è poi così semplice. Da una parte c’è la vita frenetica e stressante che conduciamo e che non ci lascia più uno spazio interiore per l’ascolto, dall’altra c’è la paura del vuoto che nasconde, forse, una povertà dello spirito, oltre alla paura della morte che è, invece, la condizione dell’uomo. Ma allora, di cosa è fatto il silenzio? Esso racchiude tutti i suoni a noi conosciuti, è qualcosa di sovrasensibile che poco ha a che fare con la materialità e la via che ci riconduce a lui è fatta di ascolto. Per il filosofo è un cammino lungo e arduo, fatto di osservazione e sublimazione della bellezza; esiste, dunque, un’estetica del silenzio, per dirla in maniera platonica. Per assurdo, solo chi si abitua ad un attento ascolto dei suoni, dei rumori e dei fruscii, solo chi riesce a respirare a fondo la bellezza riuscirà a riconoscere e a godere pienamente del silenzio. Quest’ultimo non è altro che la sublimazione dei suoni percepibili sensibilmente…
surya