Il quarto elemento da sviluppare è, secondo la Filosofia di Patanjali, Swadhyaya, ossia l’autoanalisi profonda. Sva significa “auto” e Adhyaya significa “richiesta” o “esame”. Tutto ciò che porta all’auto riflessione può dunque essere considerato Svadhyaya. Un esercizio doloroso per l’ego, che può essere pacificato con l’aiuto di un valido Maestro Yoga (ammesso che non sia anche lui stesso prigioniero del proprio egoismo) e del cosiddetto Sanga, cioè il Gruppo di Amici che, insieme a noi, praticano il Raja-Yoga.
Nel suddetto procedimento è contemplato lo studio della Letteratura Filosofica.
La ricerca yogica non deve essere vaga e confusa, altrimenti si corre il rischio di imboccare una strada per un’altra. Seppure l’intelletto non abbia primario valore rispetto agli esercizi e alla pratica quotidiana, è necessario avere le idee molto chiare su come agisce il nostro ego, su cosa sia veramente un Cammino Yogico e come, attraverso l’esempio di chi ha saputo pacificarsi, lo si possa intraprendere senza pericoli o deviazioni mentali. La letteratura di basso livello primeggia, mentre le perle preziose sono molto rare, perciò il Ricercatore deve fare molta attenzione nella scelta dei testi e la cosa migliore è farsi consigliare da un Maestro qualificato e autorevole.
La New-Age americana imperversa e i libri “spazzatura” cioè quelli che nascono al solo scopo di creare business o adepti da sfruttare, hanno riempito librerie e il mondo del web.
Praticare le posizioni (asana) senza avvicinarsi agli insegnamenti supremi, significa mancare le finalità e lo scopo stesso dello yoga riducendo a mera attività fisica ciò che invero è scienza tanto vasta ed affascinante.
Surya
Tratto dal Corso “Biennio di Formazione Insegnanti Yoga”