“ Yoga Chitta Vritti Nirodah:
lo yoga è l’arresto delle funzioni mentali.
Non vuol dire che smettiamo di pensare, ma cerchiamo di portare nel tempo una condizione di quiete e stabilità in cui la mente smette di agitarsi. Cosi’ comincia lo Yoga Sutra di Patanjali. Nella prima frase viene già racchiuso il senso del conseguimento di tutto quello che dovrà essere realizzato e che sarà realizzato attraverso la pratica. Iniziamo da qui questo viaggio verso il Samadhi percorrendo il “sentiero degli otto passi di Patanjali”.
💖Yama
💖 Niyama
💖 Asana
💖 Pranajamah
💖 Pratyara
💖Dharana
💖 Dhyana
💖 Samadhi
Yama e Niyama
Le regole etiche e morali e quello che si deve fare.
Le parole yama e niyama derivano entrambe dalla radice yam, ossia “limitare,contenere,controllare”.
Patanjali ha fatto un percorso dall’esterno all’interno e mette per primo Yama cioè le 5 regole che dovrebbero essere chiare non solo durante la pratica ,ma in tutto l’arco della giornata .Rappresentano le regole da osservare nel rapporto con gli altri e sono:
la non violenza
l’alternarsi della verità
il non desiderare le cose altrui
la continenza
l’assenza di possesso
I Niyama regolano invece il rapporto con se stessi da ogni punto di vista, psichico,fisico,spirituale.
Se gli Yama indicano ciò che non si deve fare e vengono chiamati astinenze, questi indicano invece ciò che è meglio fare non appena possibile e vengono dette osservanze e sono:
purezza
appagamento
austerità
lo studio dei testi
l’abbandono al divino
Andiamo ora a vedere piu in profondità queste astinenze e queste osservanze.
– La Non-Violenza
“Una volta radicata in lui la non violenza cessa ogni ostilità”( y.s 2.35)
La non violenza non è subire passivamente , ma è agire in modo da condurre il soggetto sulla retta via. Richiede e sviluppa in noi qualità come il perdono,il controllo dei nostri istinti aggressivi. La non violenza non è rivolta solo agli altri, ma è rivolta anche a noi stessi. Piccoli esempi: forzare in nostro corpo ad essere ciò che non è naturale, troppo esercizio fisico, scarso esercizio fisico, diventare un modello di bellezza irreale,forzando i nostri sensi ad esperienze negative ( film violenti alcool,droghe ecc…..). Avere un atteggiamento di non violenza ci permette di essere più presenti a ciò che accade e non più schiavi di errate abitudini e questo ci dà la forza e la fiducia in noi stessi per proseguire questa difficile ma emozionante strada.
“ Al centro della non violenza sta una forza spontanea” ( Ghandi)
– Sathya – La Verità
“Quando si è fermamente stabili nella veridicità , da questa dipendono totalmente i frutti prodotti dalle azioni.”( y.s 2.36)
Perseguire la verità è rimanere nel vero sé ,prendere le distanze dall’ego, dalla mente e dal giudizio per avvicinarsi sempre di più a noi stessi. Se non giudichiamo non sentiremo il peso del giudizio e potremo esprimerci liberamente senza sensi di colpa o di bugie. Se prendiamo la distanza dalla nostra mente e dal nostro ego possiamo affrontare le difficoltà con più serenità.
“Ogni risultato delle azioni seguirà esattamente la nostra volontà” (Patanjali)
Sathya significa “accetta te stesso, prendi le distanze dal tuo ego e dalla tua personalità perché fino a quando non ti immedesimi in essi non sei libero.
– Asteya – Non Rubare
“ Quando si è fermamente stabili nell’onestà tutti i gioielli si presentano da soli.”( y.s 2.37)
Non rubare, lo si intende solo come il non appropriarsi di ciò che non è nostro, ma il suo significato è più ampio. Una frase per me molto bella è “ accetta gli altri e tè stesso come accetti le stelle” Swami Dayananda.
Quando osserviamo in modo disinteressato le stelle, non sviluppiamo il desiderio di farle diventare nostre. Non sentiamo quella sofferenza che si crea in noi “ la volontà di avere “ .Semplicemente le ammiriamo e ne intravediamo la bellezza naturale. Esse sono così come devono essere né giuste né sbagliate. Questo non accade quando invece sviluppiamo il desiderio di possedere qualcuno o qualcosa. La nostra mente tende a
classificare l’oggetto del desiderio in un ruolo. Non accettiamo più la persona per quello che è ma per quello che dovrebbe essere, caricandola di aspettative e quando queste vengono a mancare, esse creano sofferenza e frustrazioni. Questo succede anche con noi stessi, ci identifichiamo in un ruolo generando delle aspettative su di noi, ma se falliamo smettiamo di accettarci. Asteya significa essere grati per ciò che siamo veramente,e
accettare gli altri per quello che sono ,senza desiderare di cambiarli per adattarli alla nostra visione di vita.
– Brahmacharya – L’Astinenza
“ Quando si è fermamente stabili nella continenza si ottiene vigore”. ( y.s 2. 38)
L’interpretazione più diffusa del termine brahamacharya è purtroppo quello di limitare alla sola sfera sessuale il suo significato di continenza, come se bastasse non fare sesso per soddisfare questo principio di yama.
Brahamacarya implica vivere in maniera sobria, con autocontrollo e moderazione nei pensieri, nella parola e nell’azione. La continenza è sopratutto un atteggiamento mentale, rispetto all’attività dei nostri organi di senso ,verso gli oggetti, verso le persone, le circostanze. Ciò non limita il nostro agire, il nostro pensare,al contrario, brahamacharya rappresenta la libertà da qualunque tipo di attaccamento ,donandoci coraggio, forza e vigore.
“Il benessere del prossimo deve starci a cuore tanto quanto il nostro benessere.” ( cit.)
– Aparigraha – La Non Possessività
“ Quando l’assenza di avidità è stabile si arriva a comprendere lo scopo dell’esistenza.” ( y.s 2.39)
Eccoci al quinto dei 5 principi di yama, credo che ci sia un motivo per cui aparigraha arrivi proprio per ultimo. Ahimsa ci ha insegnato ad amare noi stessi per essere davvero non violenti. Sathya, ad essere noi stessi e vivere nella verità; astheya a non fare di tutto per essere accettati dagli altri; brahamacharya a onorare la nostra energia e investirla in modo consapevole.
L’avidità e l’invidia sorgono quando pensiamo di non avere abbastanza. Nasce in noi la fame di volere altre cose, altre persone, altri luoghi. L’unico modo di mettere a tacere questa fame è la gratitudine. Quando siamo radicati nel godere di ciò che già abbiamo e realizziamo quanto siamo fortunati “ sorge una grande conoscenza”. L’ultimo yama ci dice che sta a noi la decisione di essere felici. Solo quando siamo grati per ciò che abbiamo e come siamo, facciamo esperienza di una gioia insuperabile. Ci porta sempre più vicini a capire noi stessi come totalità e a non guardare e cercare all’esterno, ma dentro di noi. Ora la strada è pronta per i 5 nyama, quegli insegnamenti che regolano il rapporto con noi stessi.
– Sauca – La Purezza
“Dalla pulizia arriva l’indifferenza verso il nostro corpo e il non attaccamento.”( y.s 2.40)
La purezza può essere intesa a diversi livelli secondo Patanjali, il suo significato più immediato riguarda la pulizia del nostro corpo. Nella tradizione tantrica il corpo è considerato “il tempio dell’anima “ ed è dunque necessario mantenerlo pulito e in buona salute per aiutare l’anima a compiere la sua missione. La purificazione del nostro corpo è una tappa fondamentale ,ma l’obbiettivo più importante è la purificazione della mente e delle
intenzioni. Agire per il bene proprio e degli altri ,uscendo dalla logica di separazione e coltivando la visione unitaria, il cui il nostro bene coincide e non si sovrappone all’altro, lasciando andare la rabbia, la gelosia, l’attaccamento, tutti i pensieri tossici e con il tempo questi si trasformeranno,lasciando spazio ad una saggezza ed una sicurezza inimmaginabili.
– Santosha – L’Accontentarsi
“ Dalla pratica dell’appagamento deriva una felicità impareggiabile.” ( y.s 2.42)
Santosha significa gioia incondizionata o contentezza, uno stato di genuina felicità indipendente da tutto quello che succede intorno a noi. Molto spesso smaniamo di vedere risultati nelle azioni e altrettanto spesso rimaniamo delusi. Invece di disperarci accettiamo il modo in cui si sono svolte le cose. Questo è il significato di Santosha: accettare ciò che viene. Accontentarsi vale più di 16 cieli. Ma con il termine di appagamento non vogliamo parlare né di inerzia né di mancanza di iniziativa, bensì di una condizione mentale positiva e dinamica. Bisogna cercare di mantenere una continua consapevolezza del momento presente “il qui e ora” liberi dai
desideri, dalle paure del futuro e dai rimpianti del passato. Anche la pratica delle asana e della meditazione sarà più profonda e completa , saremo totalmente immersi nel momento presente,saremo l’asana che stiamo eseguendo e saremo tutt’uno con l’oggetto della nostra meditazione.
– Tapas – Austerità
“ Praticando le austerità si distinguono le impurità e sopraggiunge la perfezione nel corpo e negli organi di senso”.( y.s 2.43)
Tapas è disciplina, fatica, è scontrarsi con la dimensione della sofferenza. E’ la convinzione che uscire dalla zona di sicurezza può far male ma ci farà crescere. C’è una metafora molto bella ed esplicativa che può aiutare a
comprendere il concetto di tapas e di come la disciplina influenza la nostra vita.
La metafora della carrozza:
Secondo questa metafora l’uomo è simile ad una carrozza dove ciascuna parte corrisponde ad un concetto differente. I cavalli sono i sensi,le redini sono la mente,il cocchiere è l’intelligenza,la carrozza stessa è il corpo fisico, il passeggero è il sé, l’anima. Se i sensi e la mente non sono disciplinati attraverso la pratica (tapas), si perde il controllo della carrozza e i cavalli ( i sensi) la porteranno fuori strada,in questo modo si perde il controllo della vita. Se invece si è disciplinati e si pratica tapas costantemente si avrà il controllo dei cavalli e così si avrà il controllo della carrozza e quindi della propria vita .Per disciplina noi intendiamo la rigidità, la fatica fisica, non significa essere rigorosi fisicamente. A volte basta solo meditare per pochi minuti al giorno o recitare un mantra o praticare dei mudra. Non importa quale tipo di pratica si sceglie ,la cosa fondamentale è che si faccia con massimo impegno, con cuore aperto e costanza.
Svadhyaya – Lo Studio di Sé
“ Mediante lo studio, o dallo studio di sé, deriva l’unione con la divinità desiderata”. (y.s 2.44)
Studiare te stesso significa ricercare la tua autenticità ,togliere schemi e convinzioni che non ti appartengono e lasciare emergere la tua essenza, ciò che in realtà sei. Per comprendere il sé è necessario avvicinarsi alle scritture antiche che rappresentano il seme della conoscenza, testi come gli “ yoga Sutra”, la “ Bahagavad Gita” e molti altri. Tuttavia la sola teoria non è sufficiente allo scopo della realizzazione senza la pratica costituita
dalla meditazione e dalla riflessione. In questo processo la pratica delle asana e della meditazione è estremamente importante . La prima permette di acquisire la conoscenza profonda del nostro corpo,di come funziona di come reagisce. La seconda invece permette di sviluppare la consapevolezza dei propri pensieri, dei propri schemi mentali, delle reazioni abituali e dei propri attaccamenti.
ishvara Pranidhana – L’Abbandono al Divino
“ L’abbandono al Divino conduce alla perfezione del samadhi”.( y.s 2.45)
Occorre iniziare il cammino per poter raggiungere la vetta più alta e i primi quattro nyama sono il cammino da percorrere prima di compiere gli ultimi passi,quelli che potrebbero condurti all’elevazione più alta. Secondo Patanjali, il Samadhi ( la meta dello yoga) viene raggiunto dal praticante che si rifugia in Dio e si abbandona al Divino. E’ proprio il rispetto di questo principio che permette al praticante di rinunciare ai desideri, i combattere i sensi, di sconfiggere tutti gli ostacoli che insorgono nel proprio cammino e di sviluppare così la devozione.
Asana – Posizione Comoda e Confortevole
Patanjali non avrebbe dedicato molto spazio alle asana. Nei suoi yoga sutra non cita nemmeno una posizione, ma se si vuole sfiorare nel mito, lo yoga è stato inventato da Shiva e carpito da Matsyendra, il signore dei pesci, mentre il Dio lo stava insegnando a sua moglie Parvati. Lo yoga insegnato da Shiva contiene, dicono, circa otto milioni di asana e vuole chiaramente dirci che le posizioni dello yoga sono tutte le posizioni che il nostro corpo può assumere. Le asana devono mirare a diventare solide e comode. Patanjali, avendo spiegato l’unione tra mente, corpo e spirito, indica come la grazia del corpo permetta di raggiungere la grazia della mente con cui iniziare a intravedere la grazia dello spirito. Le asana non devono indurre sofferenza al corpo, ma essere stabili e confortevoli, non si parla di contorsioni o di forzare il fisico. Sintetizzando, potremmo dire che la pratica deve andare verso l’intensità nella stabilità e mai verso la tensione. Le posture fisiche sono il mezzo per giungere al distacco dalle cose materiali e capire che abbiamo in noi qualcosa di molto grande ed elevato.
Pranayama
Il passo successivo è l’espansione del respiro, il pranayama, che consiste nell’inspirare, nell’espirare e nell’interrompere il flusso. Il respiro è il collegamento tra corpo,mente e spirito, quello che ci fa percepire l’unità di questi tre aspetti. Le posture solide, la mente focalizzata sull’infinito e la percezione dello spirito si fondono grazie al ritmo unisono impartito dal respiro. Per Patanjali il respiro rappresenta l’espansione della forza vitale, l’accesso e l’incameramento dell’energia che tutto pervade, quindi non è solo controllo del respiro ma qualcosa di più profondo. Non ci sono indicazioni precise, ognuno troverà il suo modo per trovare il proprio ritmo durante un’ asana più o meno intensa, stando seduti immobili in posizioni meditative o incanalando energia attraverso i mudra.
Pratyahara – Il ritiro dei Sensi
Consiste nell’abilità di rinunciare alle percezioni esteriori, quindi si ha la completa padronanza su tutti i sensi esterni. Con questa pratica ci si sposta completamente all’interno di ognuno di noi, contemplando la nostra parte spirituale e il nostro spirito individuale e spostando su di esso la nostra concentrazione. Questo è l’inizio del viaggio interiore dello spirito individuale verso lo spirito assoluto che terminerà con il Samadhi, ovvero il
ricongiungimento dei due. Questo viaggio inizia comportandosi con regolatezza, praticando le asana e uniformando il respiro alla vibrazione dell’universo per poi giungere dentro di noi .
Non c’è più contrapposizione tra interno ed esterno, ogni cosa è al suo posto.
Samyama – Lo Stato di Dharana, Dhyana e Samadhi
Con il termine Samyama si intende l’insieme dei processi di Dharana, Dhyana e Samadhi, quando questi sono praticati nel medesimo tempo. Nel cammino verso la liberazione finale, che è lo scopo della vita terrena dell’uomo, ci si avvicina alla pratica del Samyama dopo aver purificato la mente e le sue abitudini con le osservanze di Yama e Nyama. Si prepara, rinforza e purifica il corpo con le pratiche Asana e Pranayama e, in seguito, si comincia con il Pratyahara , la ritrazione degli organi dei sensi dai loro oggetti. Si procede un passo alla volta. Dopo aver padroneggiato Prathyara ci si dedica per lungo tempo al Samyama. Dharana è il fissarsi della mente su un unico oggetto, all’inizio può essere esterno, concreto, poi diventerà più astratto ed interno con il progredire della pratica. Agli inizi sembrerà faticoso poiché tenere la mente occupata su un solo oggetto porta ad uno sforzo e una lotta con la mente stessa, abituata a saltare di qua e di là tra mille pensieri .Quando il Dharana diventa continuo, senza interruzioni causate da altri pensieri, si trasforma in Dhyana, la consapevolezza che si sta praticando la concentrazione ininterrotta. E’ lo stato della mente dove non esistono più pensieri, è lo scorrere regolare e continuo dal pensiero verso l’oggetto. In una metafora viene così descritto:
“flusso continuo di coscienza simile al filo dell’olio che cola da un recipiente all’altro senza rumore”. Attraverso Dhyana si assottigliano sempre di più i cinque kosha che celano l’Atman, ( l’anima ) e si
contatta il vero sé per raggiungere Samadhi, ossia l’estasi, la beatitudine, lo stato supremo dello yoga nel quale la dimensione umana viene trascesa e ci si connette con l’assoluto.
A Surya e Krish, a questi due meravigliosi, pazienti e dolcissimi insegnanti, un grazie con tutto il cuore per questo percorso, dove sto imparando tantissime cose, dove c’è fatica, impegno ma anche tanta allegria e spensieratezza.
Grazie di tutto cuore Stefania. (chaturanga )