“Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzoniera, che lo rende e lo tiene schiavo.”
(Giordano Bruno)
Lo Jnana yoga è uno dei quattro sentieri dello yoga. Come le altre vie, Bhakti-yoga (devozione) Karma-yoga (azione), Raja-yoga (tecnica), ha come unica meta l’unione dell’anima individuale con quella universale.
Le prime tre vie sono un passo obbligatorio per arrivare allo jnana yoga. Viene chiamato anche Asparsha yoga che vuol dire senza sostegno senza stampelle. Le prime tre vie si sono appoggiate a qualcosa, il Bhakti alla devozione, il karma al lavoro, il Raja alle tecniche. Lo Jnana non si appoggia a nulla, è quello che medita direttamente su concetti come trascendere L’assoluto, l’eterno. Che cos’è che sorregge questo mondo che continua a cambiare? Può essere reale ciò che muta in continuazione? Jnana yoga è il sentiero della conoscenza e della consapevolezza. Jnana significa anche “saggezza” o “discernimento”.
Quando si parla di conoscenza non ci si riferisce tanto a una conoscenza razionale, mentale, piuttosto il concetto indica una forma suprema di consapevolezza raggiungibile tramite il discernimento e la meditazione. Attraverso una profonda riflessione sul senso del sé, ponendosi domande specifiche, come “Chi sono io?” e attraverso la pratica meditativa si può raggiungere il fine ultimo dello yoga della conoscenza, ovvero: la riunificazione del sé con il Tutto. Chi desidera seguire la via dello Jnana Yoga ha bisogno di comprendere lo spirito universale, chiamato Brahman. Ciò significa superare quella forma di “ignoranza”, cioè “non conoscenza” che spinge gli individui a sentirsi separati dal Tutto.
Lo Jnana si interroga su grandi quesiti che hanno interessato gli uomini fin dall’inizio dei tempi : qual’ è la nostra vera natura, chi siamo noi? qual è la realtà ultima delle cose?.
Tramite la conoscenza egli comprende che il mondo così come ci appare non è la realtà, ma qualcosa di costantemente mutevole e per tanto non reale. Comprende che la vera realtà è soltanto l’assoluto, che ha natura immutabile ed eterna e che anche la vera natura dell’anima individuale non è altro che Brahman.
Tramite la conoscenza, si libera dalla sofferenza dovuta all’ignoranza che agisce come un velo e che impedisce all’anima individuale di comprendere la sua vera natura divina, Eterna, Infinita, Illimitata.
Nella sua limitata ignoranza l’uomo si convince di essere il corpo, i sensi, la mente, l’intelletto, l’ego, la forza vitale ecc.. L’anima si crede distinta dal Brahaman. Questo sentiero rimuove avidya e maya, ossia il velo dell’ignoranza.
E’ un percorso di autocoscienza dove si cerca di riconoscere chi abita il nostro corpo “ Chi sono io?” Evolvendo in questa direzione riusciremo a percepirci come una manifestazione di luce e amore divino, cioè quella vita unica che vive in tutti i corpi, per poter riconoscere se stessi, oltre al proprio corpo, al proprio nome e alla propria storia, fino a quando possiamo riconoscerci come la presenza divina che emana beatitudine e felicità eterna.
Nel riconoscere questa realtà, si proverà gioia senza oggetto, si impara ad essere felici senza una ragione esterna, perché noi siamo la fonte stessa della felicità. Lo Jnana yoga ci spiega come porci nel modo giusto le giuste domande.
“Chi sono io?”
Lo Jnana yoga ci dice che per scoprirlo dobbiamo iniziare ad eliminare tutto ciò che non siamo con una pratica meditativa che viene chiamata neti-neti, non questo non quello, mediante la quale si trascende tutto ciò che è apparenza per giungere alla realtà. Reale è ciò che è costante, laddove si può cogliere il movimento, il mutamento, c’è illusione.
Per esempio, una nuvola non è reale, appare, si modifica e poi scompare. Non è costante, non è reale. Che cos’è che non è mai cambiato? Quando ero bambina il mio corpo non era questo, è cambiato continuamente e cambierà ancora, anche le mie idee sono mutate, le mie convinzioni, l’unica cosa che non è cambiata e che è sempre stata uguale a se stessa è il senso di esistere.
Per arrivare a dire IO SONO bisogna fare un gran lavoro. Chi sono io? Buona o cattiva, antipatica o simpatica, sono sempre qualcosa; lo Jnani lavora per togliere tutto questo, lavorando su Neti-Neti (né questo né quello).
Come faccio a dire chi sono?
Per sapere chi sono devo sapere chi non sono.Ogni qualvolta un’emozione, un pensiero particolare disturba il quotidiano, lo jnani dice: non sono questo, io lo posso osservare, lo posso vedere, perciò non posso essere questo. Se io vedo il mare, posso essere il mare? Io sono qua e sono l’osservatore, il mare è là ed è l’oggetto dell’osservazione, se io lo posso vedere non sono il mare, devo essere necessariamente qualcosa d’altro.
Devo essere un osservatore, un testimone dentro di me. Sono come come un frutto, per arrivare al nocciolo prima devo togliere la buccia, poi assaporare la polpa e piano piano arrivo al nocciolo. Lavoro a strati , no questo, no quello.
Con questa meditazione lo Jnani prende consapevolezza che le emozioni esistono ma che lui non è l’emozione vissuta.
Lo Jnani lavora sulla disidentificazione: ti vedo ma io non sono quello. La sofferenza arriva perché ci si identifica con qualcosa.
Secondo la tradizione vedantica in ogni essere umano si distinguono cinque involucri chiamati Kosha in cui è avvolto l’Atman. L’identificazione del proprio Io con uno di questi involucri non permette di percepire Atman, la nostra vera natura, che è la stessa dell’intero universo.
Praticando la meditazione si possono eliminare le identificazioni come per esempio: “io sono il mio corpo, i miei pensieri ecc “. Kosha è una parola sanscrita che significa: rivestimento, involucro, strato, guaina.
L’ordine dei cinque involucri (Pancha kosha) che coesistono e si sovrappongono dal più grossolano al più sottile, è il seguente:
❤ Annamayakosha (corpo fisico)
❤ Pranamayakosha ( corpo pranico)
❤ Manomayakosha (corpo mentale)
❤ Vijanamayakosha ( corpo della conoscenza interiore e della saggezza)
❤ Anandamayakosha ( corpo della beatitudine)
Annamaya Kosha (corpo fisico):
è il più denso dei cinque. E’ costituito dal corpo, pelle, tessuto muscolare, sangue, ossa, organi, ecc. La sua esistenza dipende dal cibo nelle sue varie forme, dall’acqua e dall’aria respirata. La pratica delle asana, il pranayama e un’alimentazione sana aiutano a mantenere questo Kosha in condizioni ottimali, in modo da poter sperimentare la vita attraverso i nostri corpi con facilità.
Pranomaya kosha (Corpo energetico o soffio vitale):
è l’involucro delle forze vitali costantemente attive e modellanti, ed ha una forma simile a quella del corpo fisico. La sua struttura fisiologica comprende speciali centri energetici detti chakra, che ricevono, assimilano ed esprimono l’energia della forza vitale. Da questi il prana viene distribuito a tutto il corpo attraverso una rete di canali di collegamento, le nadi.
Pranamaya kosha può essere influenzato con le tecniche yoga di respirazione (pranayama), mentre la coordinazione delle fasi di inspirazione ed espirazione durante le asana, consente di sincronizzare Annamaya kosha (corpo fisico) e il Pranamaya kosha (corpo pranico) con Manomaya kosha (corpo mentale).
Manomaya kosha (corpo mentale ):
Consiste nella mente pensante e nelle emozioni. A livello fisiologico, il corpo mentale interessa il sistema nervoso e si esprime con pensieri e consapevolezza. La nostra mente è sempre affollata di pensieri che ci legano al passato e al futuro. Spesso, questi pensieri sono accompagnati da emozioni, come preoccupazione, malinconia, illusione, disillusione, rabbia, paura, che ci coinvolgono profondamente perché influenzano il flusso di energia dentro e attorno a noi che, a sua volta, influisce sulla nostra salute energetica e fisica. Infatti, questa incessante attività brucia energia e ci stanca, e può indebolirci fisicamente fino a farci ammalare, perché non siamo più in condizione di recuperare quello che consumiamo. Quindi, si può armonizzare questo Kosha con:
le asana perché la loro immobilità favorisce la concentrazione sul respiro.
le tecniche di pranayama perché, attraverso la respirazione, la mente è aiutata a raggiungere uno stato di calma e di serenità (il respiro è il ponte tra il corpo fisico e quello mentale);
la meditazione perché permette di ritrovare la calma mentale e la serenità necessarie per migliorare la qualità della nostra vita, utilizzando una serie di tecniche che hanno lo scopo di allontanarci dal fiume dei pensieri (e dalle emozioni che li accompagnano) per un certo tempo, mantenendo la coscienza vigile.
Vijanamaya kosha (corpo della conoscenza interiore e della saggezza
Permeando i 3 strati più densi (Amanomaya, pranamaya e annamaya), vijanamaya kosha è la casa della nostra conoscenza interiore e della saggezza, aspetto del nostro essere che conosce, intimamente, la Vita al livello più profondo, che ci invia messaggi che vanno oltre la comprensione della nostra mente. Attraverso il processo di asana (le posture), pranayama (tecniche respiratorie), pratyahara (ritiro dei sensi), dharana (concentrazione focalizzata), e poi attraverso dhyana (meditazione), la mente si ferma perché siamo liberi dall’influenza del pensiero, dell’emozione e dell’esperienza.
Riposando in questa nostra vera natura, possiamo ascoltare, con un udito interiore che trascende ciò che ascoltiamo con le nostre orecchie, il messaggio della Vita, permettendo a questo messaggio di allinearsi nei nostri pensieri (manomaya-kosa), nel nostro campo energetico (pranamaya-kosa), nel nostro campo di attività, nel nostro corpo fisico (annamaya-kosa) e, quindi, nelle nostre azioni ed esperienze.
Ananadamaya kosha (corpo della beatitudine) :
E’ l’aspetto del nostro essere che molti chiamano samadhi, che riconosciamo come profonda pace interiore e gioia, libera da pensieri, emozioni, energia e corpo. Anandamaya kosha è attivo nel sonno profondo, mentre negli altri stati (veglia e sogno) lo è solo parzialmente. Si tratta dello stato spirituale in cui sperimentiamo l’amore incondizionato e la comunione con la vita. E’ il piano della “felicità” d’ordine universale che illumina direttamente la coscienza dell’essere umano che la capta per intuizione spirituale e non per ragionamento mentale. lo Jnani medita sui 5 Kosha ponendosi la domanda “ CHI SONO IO, in quale di questi involucri risiede il mio io individuale?”
Con la pratica di meditazione Neti-Neti, non questo non quello, lo jnani inizia ad eliminare tutto ciò che non è.
In un brano delle Upanisad viene spiegata la sostanziale identità fra l’essenza che anima ogni cosa (il brahaman) e la nostra essenza interiore (Atman). Si tratta di un dialogo tra padre filglio:
Bhrigu, il figlio di Varuna, volle indagare sulla verità della vita umana. Qual è l’aspetto più importante della vita umana? Che cos’è che fa funzionare il corpo? Qual è il principio di unicità che sottende a tutto? Egli cominciò a pensare: “Che splendida creazione! Chi è questo Brahman che l’ha fatta? Qual è la Sua Forma?” Ben presto il suo pensare divenne cosı ̀ intenso che non poté davvero più sopportarlo, per cui andò dal padre Varuna, si prostrò ai suoi piedi e chiese:
“Padre, chi è Brahman? Qual è la Sua forma?”
Varuna avrebbe potuto dirgli tutto su Brahman, ma pensò che ognuno debba sforzarsi di comprendere il Principio di Brahman attraverso l’esperienza personale. Inoltre, quando un padre assume il ruolo di guru, non deve egli stesso rimuovere i dubbi del suo discepolo perché questo smorzerebbe in lui lo spirito dello sforzo personale. Quindi, Varuna gli disse: “Non è possibile dire che Brahman sia questo o quello; non Lo si può spiegare a parole. Tu stesso devi indagare e scoprire la Verità. C’è un potere nascosto che governa il corpo e questo ha valore finché tale potere vi è presente; la presenza del Potere Divino lo rende shivam (di buon auspicio), mentre la Sua assenza ne fa uno shavam (cadavere). Qual è la differenza tra shivam e shavam? Tu devi fare penitenza per comprendere questa verità.”
Cosı ̀ dicendo, benedisse il figlio e lo congedò. Ottemperando al comando di suo padre, Bhrigu andò nella foresta e prese a far penitenza dopo avere trovato un luogo adatto. Là si immerse nell’autoindagine e un giorno pensò: “Tutti gli esseri senzienti di questo mondo dipendono solamente dal cibo; il cibo è necessario per tutti gli esseri. Questo corpo è nutrito dal cibo, per cui il cibo è Brahman.” Avendo cosı ̀ concluso, egli andò da suo padre e disse:
“Padre, ho scoperto che cos’è Brahman. Il cibo è Brahman.” Varuna rispose con calma: “no, no, caro figlio! Fai ancora un po’ di contemplazione, fai ancora penitenza.” Dopo un altro periodo di austerità, Bhrigu giunse a questo: “Il corpo cresce essendo nutrito dal cibo. Per questa crescita, c’è bisogno di energia per digerire il cibo. Che cos’è questa energia? E’ l’energia del prâna (il soffio vitale); quindi il prâna è Dio.” Con questa conclusione, egli andò di nuovo dal padre e disse: “Padre, io so che il prâna è Brahman”, al che Varuna rispose: “Naturalmente l’essere umano è dotato del prâna. A che cosa serve, però? Può forse egli mangiare il cibo che gli viene servito su un piatto se la mente non decide che deve mangiare? Quindi il prâna da solo non può sostenere l’uomo. No, no, figlio! Devi fare penitenza e contemplazione ancora per un po’.”
Un medico mette in stato di incoscienza il paziente con l’anestesia prima di operarlo alla pancia. L’operando, sebbene abbia il prâna, non sa che cosa il medico stia facendo alla sua pancia nel corso dell’operazione. In questo modo, il prâna può essere reso cieco o inefficiente. Dopo aver fatto di nuovo penitenza per un certo tempo, un giorno Bhrigu pensò: “Senza dubbio, il cibo è necessario e l’energia del prâna è importante,
tuttavia è il pensiero a spingere una persona a mangiare. Il pensiero, però, nasce nella mente, per cui la mente è Brahman.” Andò, allora, dal padre e disse: “Padre, ora capisco che la mente è Brahman.” Quegli lo fece avvicinare e rispose: “L’essere umano ha la mente, ma se non ha la capacità di pensare, essa non gli serve a niente. Una persona simile può mangiare carbone, sterco di mucca e polvere. L’essere umano ha bisogno del potere della discriminazione; anche un pazzo ha la mente, ma non sa che dire né a chi dirlo o dove andare; quindi la mente non è realmente Brahman. No, no, prosegui con la tua ricerca.” Senza alcuna esitazione, Bhrigu riprese la penitenza e, dopo un po’, pensò: “A che cosa può servire il semplice pensiero della mente? E il potere di discriminazione a dar significato ai pensieri.” Cosı ̀ tornò dal padre e disse: “Padre, so che l’intelletto discriminante è Brahman.” Varuna osservò ancora: “Ci sono molti studiosi dotati di discriminazione, ma la società non ne ottiene alcun beneficio; in effetti, c’è l’ignoranza che annebbia la loro conoscenza suprema”, ed esortò il figlio a continuare la sua contemplazione e austerità benedicendolo. Dopo un ulteriore periodo di ascetismo, un giorno Bhrigu raggiunse una conclusione ulteriore: “Il cibo è la fonte del nutrimento e il prâna dà l’energia, la mente genera i desideri e l’intelletto concede la saggezza; tutto questo deve portare a un risultato. Qual è questo risultato? Questo va scoperto.” Con questo pensiero proseguı ̀ la sua pratica ascetica. Un giorno ebbe un’esperienza unica: si sentı ̀ in un oceano di beatitudine e rimase in quello stato di felicità. Varuna andò in cerca del figlio, lo trovò nella foresta immerso nello stato di samâdhi (estasi) e capı ̀ che stava sperimentando la beatitudine pura ed eterna.
La Beatitudine è Brahman. Certo che il figlio non avesse bisogno d’altro, andò per la sua strada. (Upanisad)
Lo jnana yogi medita sui cinque involucri per raggiungesse alla fine l’involucro della Beatitudine.
Egli deve trascendere un po’ per volta l’involucro del cibo (Annamaya Kosha), l’involucro energetico composto dai soffi vitali (Prânamaya Kosha), quello della mente (Manomaya Kosha) e quello della saggezza (Vijñânamaya Kosha) per raggiungere infine l’involucro della Beatitudine (Anandamaya Kosha) dove sperimento una beatitudine che i pervade completamente, e sperimento la bellezza infinita della Pura Essenza senza giudizio. Però Anandamaya Kosha è destinato a diventare maya, un illusione, tuttavia, se si riesce a restarci il più a lungo possibile, ci si accorgerà che tutti i falsi “io” dovuti all’identificazione con gli altri involucri crolleranno e resterà solo la sperimentazione di quella gioia senza più nessuno che dice di sperimentarla. Colui che osserva la cosa osservata e il processo dell’osservazione diventeranno una cosa sola. Sorgerà allora il tuo vero essere, la tua vera natura che è pura Esistenza , pura Consapevolezza, pura Beatitudine. In sanscrito tale stato viene chiamato Sat-Cit-Ananda.
Sat significa Pura Essenza, Cit– Pura Consapevolezza, Ananda Pura Beatitudine.
Tale stato è già presente in tutti noi. Gli involucri superficiali la coprono e ne impediscono la liberazione (Mukti). Sat-Cit-Ananda è dentro di noi, bisogna solo eliminare quelle parti che ci impediscono di vederla e realizzarla.
La meditazione su ciò che non siamo, ci porterà a scoprire la nostra vera natura Eterna Infinita e Illimitata.
La pratica dello yoga agisce con Asana su Annamayakosha, il corpo fisico, tramite le posizioni o esercizi fisici. Opera su Pranomayakosha, il corpo energetico, grazie a tecniche di respirazione che consentono di espandere e riequilibrare il Prana (energia vitale). Interviene su Manomayakosha, la mente reattiva (Manas, mente), grazie a tecniche che consentono una migliore gestione delle facoltà sensoriali. Si occupa di Vijnanamayakosha, la mente discriminante, tramite Dharana, tecniche di concentrazione, che sfociano successivamente nelle pratiche meditative di Dhyana. Anandamayakosha, detto anche corpo causale, è la parte più intima di noi. In realtà entriamo in contatto con la nostra realtà più profonda grazie al lavoro svolto nei livelli precedenti. Secondo lo Yoga, agendo su uno di questi corpi è possibile indirettamente agire sugli altri. Con una pratica che agisce sulla parte fisica è possibile portare beneficio, non solo al corpo, ma anche alla mente ed alla psiche e, viceversa, il riequilibrio del piano più sottile, che si compie attraverso le tecniche di concentrazione e le pratiche meditative, porta beneficio anche al piano fisico.
Percorrendo questo cammino, gradualmente, percepiremo che questi giochi distruttivi sono solamente dei pensieri; sono nuvole passeggere, e non avremo più bisogno di identificarci con esse. Le nuvole possono essere scure o chiare, ma sono soltanto nuvole. Noi siamo il cielo che osserva le nuvole. Quando potremo osservare ciò che è transitorio, senza attaccarci, senza identificarci, saremo vicini a riconoscere la nostra identità.
Ringrazio Surya che con la sua splendida luce ha saputo illuminare il mio cuore, permettendomi di iniziare un percorso lungo e faticoso con gioia e amore.
Ringrazio Krishna che con la sua calma, la sua professionalità ha saputo farmi comprendere che lo yoga non è solo esercizio fisico ma un’ armonia tra corpo e mente.
Un abbraccio dal cuore
Milvia