“Troverai la massima potenza dell’amore nella tua fragilità più devastante – Bernie Prior . Una frase letta per caso, un pensiero diluito che mi è entrato in circolo diventando la meditazione più interessante della mia vita. La società, nella nostra epoca, tende a magnificare il potere cercando di celare la fragilità umana, la quale viene vista come una condizione sfavorevole, per non dire un handicap. Eppure, la fragilità è una delle colonne portanti dell’esistenza, depositaria dei valori più grandi e preziosi quali l’empatia, la sensibilità, la compassione, lo slancio creativo e vitale. E’ proprio da questa fragilità esistenziale che nascono i versi più profondi, le note più evocative. Da queste esistenze ritenute “fragili” sono nati i più grandi capolavori, le più grandi opere letterarie. Filosofi, poeti e musicisti ci raccontano gli interrogativi della mente aiutandoci a recuperare la nostra dimensione primaria , penetrando gli abissi di quel mondo interiore che, proprio attraverso la grande forza della “fragilità”, ci spinge verso l’infinito. La fragilità è un pregiudizio, dice lo psichiatra Eugenio Borgna, perché oggi si ritiene che la vita trovi compimento solo se siamo forti, laddove essere forti significa non preoccuparsi delle emozioni e dei sentimenti altrui. C’è un’eccessiva glorificazione dell’”io”, protagonista indiscusso di una mente egoica. Tuttavia, noi stiamo bene solo quando riusciamo a spaccare il guscio. Il ritrovamento di una corolla delicata, la sensazione stessa che si spezzi da un momento all’altro, ci rende invincibili, poiché immortale è l’opera di colui che sa curare il proprio dolore e la propria transitorietà come fosse un delicato bocciolo. La crescita dell’uomo non è qualcosa di meccanico, è fatta di moti interiori, di sussulti, di balzi, di capitomboli e rinascite, poiché senza di essi saremmo solo una reiterazione di giorni senza gioia. Viviamo la fragilità come fosse una specie di agente patogeno e non come un valore. L’uomo ha conquistato terre, mari e cieli e non è ancora soddisfatto, vuole conquistare l’inconquistabile perché ha paura di crollare davanti a se stesso. Non sa che basterebbe deporre le armi per poter chiamare “vita” quello spettacolo che, senza le sue fragilità, è relegato a un semplice ruolo da interpretare. Meditazione non significa rifuggire da tutto ciò che è fugace, bensì accoglierlo e riconoscerlo nello stesso modo in cui riconosciamo che un braccio fa parte del nostro corpo. Il grosso fraintendimento sta proprio in questo: spesso si diventa bravi a controllare e reprimere, mentre invece, pratiche come lo Yoga e la Meditazione, ci devono fornire gli strumenti per “vivere” , per imparare a gioire e soffrire della nostra umana, antropica, naturale condizione. “Non disperi, dunque, l’umana fragilità”, diceva qualcuno.