Su può amare anche la guerra. La si può amare talmente tanto da tenersela stretta come un amante che si ha paura di perdere. Mi domando a che serve nutrirsi di parole se non sappiamo più prendere per mano un nostro fratello. Quanto conta la genetica e quanto invece il cambiamento è nelle nostre possibilità? Davvero siamo sempre “destinati” a comportarci in un determinato modo, oppure, a volte, possiamo intervenire e dare una direzione diversa alla nostra vita? Gianna era solo una bambina. Padre assente e madre autoritaria. Gianna voleva affetto, come tutti, ma la madre era troppo impegnata nelle sue faccende per ricordarsene. A meno che stesse male. Allora sì, allora la madre accorreva. Gianna imparò che la gente la amava nella misura in cui lei stava male. Crebbe nel vittimismo, convinta di attrarre amore e attenzione in quel modo. Funzionò così (si fa per dire) per molti anni, ma, dopo un po’, vide che la gente si stancava. Gianna era sola. Gianna non conosceva altro modo di rapportarsi. Un giorno qualcuno le disse che poteva essere amata per ciò che era, senza bisogno di ricorrere a quei sottili ricatti. Gianna fu molto colpita da questo ma rifiutò più volte di parlarne, terrorizzata all’idea di rimanere completamente sola, senza nemmeno più uno sguardo compassionevole. Non sapeva ancora che il germe della trasformazione si era già insinuato in lei. Soffrì molto per la sua libertà ma decise che ne valeva la pena. Si fece male molte volte, eppure, piano piano, imparò una seconda lingua: l’amore senza costrizioni. Dicono che l’amore non si possa imparare, ma io penso invece che non facciamo altro, da quando nasciamo fino a quando esaliamo l’ultimo respiro. Si impara, ad amare, come si imparano tutte le cose. E’ solo che l’amore non lo si impara sui libri, lo si impara con le proprie ferite, lo si impara prendendo fra le mani la fragilità di un bimbo malato, lo si impara ascoltando il dolore di chi ci è accanto, lo si impara prendendosi cura di qualcuno. Prendersi cura… se io dovessi esprimere l’amore con due parole lo esprimerei proprio così: prendersi cura. Ricordo che le prime cose che mi colpirono quando iniziai a studiare le biografie dei grandi maestri non furono le ore trascorse in preghiera o in meditazione, bensì il tempo che essi trascorrevano ad occuparsi dei loro simili. Le persone più felici erano quelle che si occupavano anche degli altri. Non ci credetti molto, ma provai. Devo dire che imparai molto sull’amore (sempre pochissimo rispetto a ciò che devo ancora imparare, ma per me era già molto). Compresi che a volte bisogna provarci, che rinunciare è più dannoso che sbagliare, compresi che l’uomo si innamora anche del suo dolore, delle sue catene, della guerra, ma se ne innamora perché non ha confronti, perché non conosce altro, e perché, in fondo, quella parte di natura felina e dannata gli appartiene da sempre, fin dalla notte dei tempi. Compresi che spesso l’uomo rinuncia perché è più facile restare fermi, perché si consumano meno zuccheri e ci si crogiola nel conosciuto. Poi, le neuroscienze ci hanno dimostrato la plasticità del cervello. Abbiamo meno scuse, insomma (non sto parlando, ovviamente, di quelle persone con patologie particolari che presentano deficit significativi in alcune aree cerebrali). Sto parlando di me, di te, di noi che ci incontriamo ogni giorno e conduciamo vite più o meno “normali”. Davvero è così difficile? Davvero non siamo più in grado di riconoscerci negli occhi dei nostri simili? E se provassimo a fare qualcosa di diverso, a leggere qualcosa di diverso, a parlare di qualcosa di diverso? E se cominciassimo a frequentare posti diversi e incontrare gente diversa? Cambierebbe qualcosa? Io credo di sì, e comunque, nel dubbio, ci proverei. Questa lettera è per te che non ci credi più, per te che pensi che tutto sia finito, per tutte le Gianna che vivono anche in te e che ti hanno dimostrato che ce la si può fare, per tutti i tuoi no e per tutti i tuoi sì. Vorrei che tu sapessi che tra un sì e un no ci sono mille sfumature da vivere, che la tristezza è importante quanto la gioia, che sei bella anche quando ti arrabbi e ti disistimi. Si, hai capito bene. Lo so che ti hanno sempre detto che sei bella quando ridi, quando non ti arrabbi, quando sei dolce e quando sei accondiscendente. Certo… sei meno impegnativa… ma a me piaci anche così. Vorrei raccontarti una storia diversa… una storia nuova… ti va? Un tempo ci si riuniva intorno a un caminetto e i nonni raccontavano le storie. Era terapeutico. Oggi ci si isola dietro uno schermo e nessuno ha più tempo per nulla. Non ci si fida più. Non ci si parla più. Non ci si ama più. Che dici, proviamo insieme? Sappi comunque che ti sceglierei mille volte ancora, perché amo dell’amore ciò che ancora non so sull’amore …
surya