Ho avuto la fortuna di seguire un incontro online con il Prof. Stefano Vicari (Neuropsichiatra Infantile e Responsabile dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù) magistralmente organizzato e condotto dalla meravigliosa Professoressa Daniela Lucangeli, Psicologa di grande competenza e spiccata professionalità. L’incontro verteva sul “dolore silente”, quel dolore acuto e sottile che è spesso invisibile e privo di parole e che si “impossessa” di molti bambini e adolescenti. Ho cercato di riassumere per voi alcuni dati importanti di cui la maggior parte di noi non è a conoscenza e di riportare qui anche i mezzi di prevenzione che abbiamo a disposizione. Ci dice il Prof. Vicari che i disturbi mentali sono tipici dell’età evolutiva, pensate che ne soffre circa il 20% degli adolescenti, la stessa percentuale che troviamo in età adulta, e il 10% dei bambini. Viviamo però in un mondo che neglige questa realtà, che non la vuole vedere, anche perché siamo figli di un pregiudizio che vuole che il disturbo mentale insorge perché papà e mamma litigano. In realtà i fattori sono molti e se un bambino si ammala è perché è predisposto: ci sono dei fattori genetici, innanzitutto, e un grado di vulnerabilità biologica diversa per ognuno, anch’esso inscritto nel DNA. Ma non voglio soffermarmi sulle cause poiché non ho le competenze necessarie per poterne parlare, voglio invece condividere con voi dei numeri: nel 2011 ci sono stati 12 ricoveri per tentato suicidio all’Ospedale Bambino Gesù, mentre, nel 2018, sono arrivati a 274. Tra i 10 e i 25 anni, il suicidio è la seconda causa di morte. La prima è legata agli incidenti stradali. Dati che parlano da soli.
– In tutto questo, quanto ha influito la pandemia?
– Paradossalmente, nel primo lockdown è diminuita la richiesta di aiuto. Quando tutto era chiuso, quando il mondo all’improvviso divenne silenzioso, quando tutti eravamo costretti a rimanere chiusi in casa e la vita sembrava si fosse fermata, i ricoveri sono diminuiti. Sembra strano, vero? Eppure, c’è una cosa che ci deve far pensare: si era tutti a casa, genitori compresi. I bambini si sentivano protetti, erano in famiglia, i genitori hanno ricominciato a svolgere il loro ruolo a tempo pieno. Sebbene la causa dei disturbi mentali non sia da attribuire ai genitori, i fattori protettivi aiutano a diminuire l’ansia e svolgono un ruolo contenitivo. Il problema è emerso dopo, nel secondo lockdown, quando invece i genitori sono tornati al lavoro e i ragazzi si sono trovati da soli a casa. Abbiamo assistito all’aumento del 30% di richieste di aiuto per disturbi di ansia e del 25% di tentativi di suicidi.
– Forse noi come adulti abbiamo fallito? Che responsabilità hanno la scuola, la famiglia, il contesto psicosociale?
– Le Neuroscienze ci hanno insegnato che abbiamo una biologia fissa e una mutevole, o plastica. Ciò significa che l’ambiente in cui cresciamo può contenere o espandere un disturbo a macchia d’olio, ritardandone persino l’espressione genica. Diciamo che ci sono dei percorsi che facilitano il raggiungimento dell’autonomia nel bambino.
La salute mentale si basa su due pilastri:
- L’Autocontrollo, ossia il riconoscimento e la gestione delle proprie emozioni. Quante volte vi è capitato di sentire un genitore dire al proprio figlio “non piangere!” Quel “non piangere” è un’espressione forte perché impedisce al bambino di entrare in contatto con l’emozione stessa e riconoscerla. L’emozione rimane bloccata.
- Costruire Relazioni Positive. Qui potrebbe avere un ruolo importante anche la scuola, che dovrebbe accendere la fiamma della conoscenza e non dispensare solamente informazioni e competenze. Purtroppo, però, non vengono abbastanza valorizzati gli educatori e nemmeno il ruolo della scuola. Tuttavia, preferisco non dilungarmi su questo e rimanere invece su ciò che noi possiamo fare. La famiglia, per esempio, come può dare al bambino una base solida? Oggi i genitori sono spesso costretti a lavorare entrambi per poter sopravvivere. Il modo in cui abbiamo costruito questa società ci ha rubato il tempo e i sentimenti. A volte si dice che non è importante quanto tempo si trascorre con i propri figli ma piuttosto la qualità del tempo che si dedica loro. Ciò che accade, però, è che quando si ha poco tempo da dedicare si sviluppa spesso un’attitudine inquisitoria: “che hai fatto oggi? Com’è andata a scuola? Cos’hai mangiato?” Non c’è tempo per la relazione. Se c’è poco tempo, dunque, dobbiamo cercare di trasformarlo in dialogo e reciprocità e non in una specie di terzo grado, perché il bambino ha bisogno di sentimenti e di presenza emotiva.
Ci sono dunque delle cose che possiamo fare a livello preventivo, per questo l’informazione è fondamentale. Il Prof. Vicari ci mette in guardia anche su un’altra cosa: ci sono bambini al di sotto dei 5 anni che arrivano regolarmente da lui con comportamenti pseudo-autistici dovuti a isolamento per esposizione massiva al televisore. Anche questo ci deve far pensare. La mia amica Lorena ha udito una conversazione tra due ragazzi e la frase che mi è rimasta impressa è stata: “almeno quando andavo a scuola alzavo la mano e qualcuno mi vedeva”!
Ci sarebbero ancora molte cose da dire ma voglio soffermarmi su una in particolare: “Educare i genitori ad educare a loro volta i figli a un pensiero autonomo, indipendente”. Il modo migliore di proteggerli è infatti renderli liberi, in grado di pensare con la propria testa. Bisogna educare alla psiche! Bisogna educare alla mente! E Natyan, come sempre, è già all’opera con il suo corso di Filosofia per Mamme e Bambini, dove il pensiero critico è messo in primo piano!