Il concetto di vuoto ha dato origine a molti dibattiti fra filosofi, religiosi e scienziati. Noi abbiamo attribuito al vuoto un significato negativo: “mi sento vuoto”, “una vita vuota”, “una persona vuota”, frasi, queste, che incutono un certo timore e lasciano una sensazione sgradevole.
Aristotele associa il vuoto al non-essere ed è proprio da lì che comincia il nostro terrore filosofico per il vuoto, il famoso horror vacui, l’orrore del vuoto.
Proprio in virtù di questa paura, tendiamo a riempirci di tutto. Oggi, in particolar modo, abbiamo un’esistenza troppo piena; piena di impegni, piena di preoccupazioni, piena di pensieri, piena di vestiti, piena di assenze… e un’esistenza troppo piena appesantisce l’anima.
Eppure, tutta la saggezza di Oriente e Occidente si è ampiamente occupata del vuoto in quanto parte essenziale per la crescita: è un concetto fondamentale che troviamo sia nel buddismo che nel taoismo, come in molte altre filosofie di vita, è la condizione essenziale per accedere alla meditazione, alla pace interiore, a quel silenzio tanto agognato.
Un racconto Zen ci parla di uno studioso che va a trovare il saggio e gli chiede di istruirlo; per prima cosa il maestro zen fa accomodare l’ospite e gli serve del tè. Gli pone la tazza di fronte e inizia a versare la bevanda; la tazza si riempie, e lui continua a versare. Alle rimostranze dello studioso, replica: “Tu sei come questa tazza: pieno. Se prima non ti svuoti, come posso io insegnarti qualcosa?”.
Il Vuoto è la condizione necessaria ad ogni trasformazione, all’accadere di ogni avvenimento: ciò è vero nella fisica ma anche nella letteratura, nella musica, nella danza e in ogni tipo di espressione. Senza vuoto non c’è creazione, senza vuoto non c’è silenzio o musica, è il vuoto che rende possibile l’esistenza di una stanza, è il vuoto l’origine di ogni cosa.
Il vaso vuoto è quello che rende il suono più ampio (Shakespeare)