Ci sono due virtù fondamentali, sul piano etico, che sono alla base di qualunque progresso: onestà intellettuale e umiltà. L’onestà intellettuale è essenziale. Un buon ricercatore è un po’ come un chirurgo: deve essere pronto a tagliare, anche se ciò talvolta è come incidere la propria carne. L’onestà intellettuale consiste nel riconoscere il vero, accogliere il limite, essere pronti a rinunciare al proprio piccolo, per qualcosa di più grande. La mancanza di onestà intellettuale, per contro, impedisce di progredire, frena l’apprendimento e favorisce la menzogna. Essa è la miserabile auto-indulgenza di chi ributta sull’altro o sugli eventi esterni le proprie mancanze, piuttosto che lavorare su di sé per superarle. Agendo in maniera intellettualmente disonesta, si inverte il sano ordine delle cose: si antepone sé all’altro da sé, così che la dinamica dell’apprendimento si inceppa. Quanto all’umiltà, sembra difficile riconoscerla come condizione fondamentale per l’apprendimento, eppure, essa è essenziale, poiché l’umiltà è il riconoscimento che non si sa quanto si desidera conoscere, è il so di non sapere di Socrate. Se manca l’umiltà, viene meno l’apertura alle cose e si deve riconoscere che difficilmente si apprende ciò che si credeva già di sapere. Non si chiede, se si teme che il proprio orgoglio venga ferito; non si rischia l’errore, se si teme di perdere la faccia; non ci si mette in discussione, se si sospetta che ciò comprometterà la considerazione degli altri. Il contrario dell’umiltà non è l’orgoglio, ma la presunzione. Onestà intellettuale e umiltà sono, dunque, i due pilastri della ricerca.