“La parola rispetto deriva dal latino respectus-respìcere (composta dal prefisso “re-” seguito da “spicere”, traducibile letteralmente con “guardare di nuovo”, da qui la nostra espressione “avere ri-guardo”).” Rispetto significa allora avere riguardo, prendersi cura, non solo di ogni forma vivente ma anche delle cose inanimate, degli oggetti che ci circondano, oppure delle leggi, delle normative, di un pensiero o di un modo di essere. Storicamente, il rispetto viene definito come la riconoscenza del valore di un’autorità. Parliamo qui di un rapporto verticale, asimmetrico, come quello che ci può essere tra genitore e figlio, tra maestro e allievo, tra il devoto e la divinità a cui si riferisce e, quindi, un rapporto gerarchico. C’è però un altro tipo di rapporto, definito orizzontale, che viene messo in luce per primo da Kant, pur rimanendo ancora in una visione dualistica: avere riguardo, prendersi cura, rispettare, significa per lui riconoscere e individuare, negli altri, la stessa natura, lo stesso valore, la stessa umanità e/o divinità in un principio di reciprocità. Un’evoluzione da un piano verticale a uno orizzontale che trova il massimo compimento nelle filosofie orientali, dove l’accento è posto sull’uguaglianza e fa luce sull’illusorietà delle forme. Il rispetto è possibile solo se abbiamo raggiunto l’indipendenza, dice Fromm, vale a dire se possiamo stare in piedi o camminare senza bisogno di grucce, senza dover dominare o sfruttare un’altra persona, poiché esso esiste solo sulle basi della libertà e dell’uguaglianza.