La somministrazione di sostanze cosiddette “placebo” costituisce una sorta di artificio, mediante il quale il medico, in particolari situazioni, non correlate a gravi patologie organiche, prescrive al paziente sostanze che, pur essendo prive di azione farmacologica, si rivelano comunque in grado di migliorarne il quadro sintomatologico e clinico, con benefici soprattutto in pazienti ansiosi e suggestionabili.
Tuttavia, sarebbe un errore pensare che il placebo sia una somministrazione “nulla”. Il medico, soprattutto in casi nei quali osserva un’importante componente psicologica ed in assenza di valide alternative farmacologiche, prova in sostanza a valutare gli effetti della somministrazione di un possibile agente terapeutico deprivato di principio attivo. L’effetto che ne consegue viene chiamato, appunto, effetto placebo. L’evento mentale cruciale nell’effetto placebo è l’aspettativa, cioè l’attesa di un evento futuro.
Ma come fanno le aspettative a produrre un reale cambiamento di un sintomo? Esistono almeno due meccanismi. Il primo consiste nel fatto che le aspettative, sia positive che negative, hanno degli effetti sull’ansia. Se un paziente, per esempio, si aspetta una diminuzione del dolore, la sua ansia diminuisce e viceversa. E si sa, più l’ansia è forte e più è forte la percezione del dolore. Dunque, l’aspettativa di un evento futuro è un potente modulatore dell’ansia. Fiducia, aspettative, speranza, possono quindi produrre dei veri e propri cambiamenti nella percezione di un sintomo. Il placebo, però, non è indotto solo dall’aspettativa, ma anche da altri fattori psicologici:
- Il condizionamento (che è una forma di apprendimento associativo)
- L’apprendimento sociale
- Il grado di suggestionabilita’ del paziente.
Facciamo un esempio: Il principio attivo della Tachipirina è il paracetamolo. Ma una compressa di tachipirina ha anche una forma e un colore, è tonda ed è bianca. Assumere ripetutamente una tachipirina significa anche associare continuamente la forma tonda e bianca con gli effetti analgesici della Tachipirina stessa. In altre parole, si associano colore e forma con la scomparsa del dolore. Dopo che l’apprendimento è avvenuto, forma e colore di per sé potrebbero essere in grado di ridurre il dolore. Condizionamento e apprendimento sono anche i meccanismi principali dell’effetto placebo negli animali. E’ difficile immaginare che gli animali possano avere delle aspettative su una terapia, vero? Come funziona, allora, l’effetto placebo su di loro? Semplicemente, rispondono ad un “rituale” ripetuto e ormai memorizzato (apprendimento). Associano, quindi, un determinato rituale al benessere o, al contrario, al malessere (effetto nocebo, in questo caso). L’apprendimento avviene anche tramite osservazione (apprendimento sociale). Una persona, in ospedale, assiste ad una scena in cui un paziente con una grande emicrania viene trattato mediante un farmaco di colore rosso. Dopo un po’, nel paziente l’emicrania scompare. Se l’indomani l’osservatore ha un forte attacco di emicrania e il medico si avvicina con un farmaco di colore rosso che contiene solo zucchero, ecco che potremmo assistere alla scomparsa del dolore.
Un rituale scatena una risposta e, cosa interessante, la scatena anche in chi è ben consapevole di assumere un placebo: un po’ come quando siamo al cinema e sappiamo che gli assassini sono finti perché sono solo attori ma noi abbiamo tachicardia, sudorazione e così via. La componente inconscia, che ancora non si conosce fino in fondo, è molto forte. Tra l’altro, vi è una piccola differenza tra “effetto placebo” e “risposta placebo”. Il primo riguarda qualsiasi miglioramento osservabile dopo l’assunzione di un placebo. La seconda, invece, ha a che fare solo con l’aspettativa del paziente.
Ovviamente, effetto placebo e risposta placebo non funzionano su tutti, infatti, le possibilità’ che il paziente possa trarre concreti vantaggi dall’assunzione di un placebo sono direttamente correlati al suo grado di suggestionabilita’ ed al carisma del medico. Ecco perché è da folli divulgare che i Fiori di Bach, l’omeopatia, le cosiddette “tecniche di guarigione” (non esistono tecniche di guarigione) e altro funzionino e abbiano effetti reali sulla persona. Ce li hanno, si, ma solamente su chi ci crede, su chi ha una particolare fiducia nella persona che glieli propone, su chi riceve, oltre al trattamento, cura, attenzione, parole di conforto. Di certo non hanno una valenza scientifica poiché non passano i test rigorosi della medicina moderna.
Tra le altre cose, le famose “terapie alternative” che vengono spesso presentate come innovative, non hanno nulla di diverso dalla medicina prescientifica, dove il medico poteva essere anche lo sciamano del villaggio. Nulla di male, dal momento che se ne hanno effetti benefici, l’importante è essere consapevoli che tutto questo non ci fa guarire da una malattia. “A mia cugina è successo”, ho sentito dire. E’ possibile, dal momento che esistono anche le regressioni spontanee che non dipendono affatto dal placebo che stiamo assumendo. Poiché noi, vista la concomitanza, gliene diamo il merito, rafforziamo l’idea che il placebo funzioni in maniera scientifica. Un esempio banalissimo: il raffreddore ha un decorso di cinque giorni circa. I sintomi giungono all’apice al terzo giorno e poi diminuiscono. Se noi assumiamo un fiore di bach o una pillola omeopatica quando i sintomi sono in aumento (in genere i primi due o tre giorni) e i sintomi migliorano, tendiamo a darne il merito al placebo, ma in realtà è una remissione spontanea. Ricordiamoci che placebo significa “piacerò” E’ importante, in campo olistico, avere delle basi scientifiche, per non cadere in fantasticherie che potrebbero essere molto nocive. Una divulgazione sana e anti-speculativa è un dovere per ognuno di noi.
surya