Vivere una dipendenza significa perpetuare nel tempo dei comportamenti finalizzati alla ricerca del proprio piacere. Esistono diverse forme di dipendenza: alcune più facili da individuare, quali dipendenza da cibo, fumo, alcolismo, internet e così via; altre più sottili: la dipendenza dall’opinione altrui, o di qualcuno in particolare, la dipendenza psicologica da una propria convinzione o attitudine, e altro ancora. Dietro ad ognuna di esse si nasconde un disagio che abbiamo timore a smascherare. Per esempio, se ho un disagio in famiglia ed ho paura ad affrontarlo, mi butto sul gioco, sulle chat o su qualunque altra cosa. Dobbiamo prenderne atto: se andiamo ad un ballo in maschera sappiamo che, prima o poi, il vero volto ci verrà rivelato senza troppi scombussolamenti…ma quando si tratta delle nostre ombre facciamo molta più fatica a comprenderne il gioco sottile… è interessante osservare come la dipendenza nasce e si sviluppa da un diniego. Un uomo, una donna, la società, la vita stessa, ci “rifiuta” qualcosa e noi rifiutiamo il rifiuto stesso. Tu mi neghi qualcosa e io mi affermo attraverso un palliativo. Quanto ci costa chiudere gli occhi…lo paghiamo con l’ansia, la depressione o, comunque, con un disagio continuo. Un’altra cosa che mi fa riflettere è come l’uomo cerchi, da sempre e continuamente, un equilibrio. Se analizziamo, per esempio, la dipendenza affettiva, vediamo che “l’altro” viene vissuto come unica condizione necessaria per la propria felicità. Da qui nascono una serie di meccanismi perversi. Prendiamo in esame la relazione vittima -carnefice: a livello inconscio si va alla ricerca di un equilibrio, si cerca di bilanciare la parte mancante, di riempire il proprio bisogno. Quello che ne deriva è un equilibrio patologico, certo, ma quello che ci interessa è che la ricerca dell’uomo si volge comunque in quella direzione: vuole una stabilità, una simmetria che lo porti a placare le sue inquietudini.