…”…Il movimento segue la sensazione e si evoca il principio di unità femminile/maschile. Questa danza è legata al culto del dio Shiva e basata sulla ricerca della sensazione pura…”…
Il nome specifico di questa danza è tāṇḍava nṛtya. Non immaginate una danza che si esegue staccando ritmicamente i piedi dal suolo e poi usando le caviglie per riatterrare morbidamente; questo atto motorio che è alla base dello sblocco del diaframma (pensate alle tradizioni africane) c’è, ma non è la costante o la regola.
La Tandava, vista da fuori, è una danza morbida, dove i gesti si susseguono in un fluire armonioso.
Da dentro, il sistema ghiandolare gioisce, l’organismo tutto si riattiva.
In origine pare che questa danza fosse eseguita nel Kerala solo dagli uomini. Vi sarà capitato di vedere immagini di Shiva/Parvati, dove il blu intenso si unisce al rosa sfavillante, dove due metà sono concepite come un’unica entità. Il respiro è cosciente e lungo, durante l’esecuzione. La direzione è quella dell’esplorazione sottile delle sensazioni fisiche. Si lavora senza giudizio sulle zone fisiche contratte e su quelle aperte.
Questa pratica, che appartiene allo yoga kashmiro, apre il sistema corpo-mente, sciogliendo in un profondo rilassamento il corpo, rendendolo così permeabile alle emozioni.
Se proprio potessimo dividerla in due momenti (che comunque sempre si susseguono come in un procedimento senza fine o inizio, ma solo rispettoso della ciclicità), individueremmo un:
- dirigersi verso l’incendio;
- soffiare per il rilassamento.
Questi sono due lati dell’espressione di una medesima forza che penetra in chi si lascia andare ai gesti.
Questo parallelismo si ritrova nelle due forme alternate e complementari che la danza prende: la prima, Rudra tándava, richiama la naturalezza violenta, la forza distruttiva dell’universo; nella seconda, l’Ananda tandava si evoca la creazione dell’universo.
La danza può essere una preghiera.