E’ piuttosto diffusa la credenza che per praticare yoga bisogna vestirsi di bianco. Ci sono scuole che non ti accettano se indossi abiti di altri colori, ma il motivo reale di questa scelta è sconosciuto ai più. Si dice che il bianco sia un colore spirituale, un colore che contiene in sé l’energia di tutti gli altri colori, oltre ad essere simbolo di purezza, umiltà e semplicità, questa è la spiegazione che generalmente viene fornita. In realtà, ci sono due motivi ben precisi per cui in India viene utilizzato il colore bianco negli ashram (luoghi in cui le persone vivono insieme studiando, praticando yoga e meditazione). Uno è che gli Ashram ospitano molti visitatori occidentali e siccome l’India è un paese poverissimo, per non fare distinzioni fra ricchi e poveri si è deciso di far indossare a tutti il classico punjabi bianco (una semplice blusa con dei pantaloni ampi in cotone). Una questione, dunque, di non discriminazione, di uguaglianza. Inoltre, su un abito bianco ogni macchiolina salterà immediatamente all’occhio, quindi, coloro che cercano le qualità della purezza, ricordano a se stessi che la loro anima deve rimanere ugualmente pulita e senza le impronte di azioni cattive. Utilizzare dei simboli può essere utile per ricordare a se stessi il motivo per cui ci si è avvicinati a un determinato percorso e per rinnovare di volta in volta la propria determinazione. I simboli, si sa, hanno un impatto immediato su chi ha attribuito loro un significato. E’ una scelta personale sulla quale non si discute, se è veramente sentita, ma non possiamo di certo imporre a tutti una nostra idea anche perché andrebbe contro tutti i principi dello yoga. Molte persone vanno in India con l’idea di cercare dei valori spirituali, entrano in un ashram, vedono la gente vestita di bianco e portano questa ”filosofia” in Italia. La conoscete la storiella del cane e della meditazione zen? In un monastero zen, il priore radunava tutte le sere i monaci per la meditazione. Siccome aveva un cane che abbaiava in continuazione, durante la meditazione lo rinchiudeva in uno sgabuzzino. Passò il tempo, il cane morì e morì anche il priore. Entrambi furono sostituiti. Il nuovo cane veniva rinchiuso nello sgabuzzino perché così si era sempre fatto. Un giorno un erudito passò di lì, voleva fare un trattato sulla meditazione zen. Scrisse che per fare una buona meditazione zen bisogna rinchiudere il cane nello sgabuzzino. E’ la stessa cosa che accade a un turista quando entra in contatto con una cultura completamente diversa e si limita ad uno sguardo superficiale. Quindi, quando mi chiedono: ma come devo vestirmi per venire a yoga? “Comodo/a”, rispondo io. Ho appena accolto due persone che sono state rifiutate da una scuola perché vestite di nero (senza, tra l’altro, fornire loro alcuna spiegazione). Purtroppo, la superficialità e la non conoscenza sanno stropicciare anche le cose più belle.
surya