Se c’è una cosa che questo lungo anno ci ha insegnato è la nostra vulnerabilità. Si è impressa nei nostri corpi, nelle nostre menti, in ogni dove. Siamo esposti alla sofferenza e alla morte. Certo, lo abbiamo sempre saputo. Ma non così! Non in questo modo, travolti all’improvviso da una bufera in cui l’ego non trova riparo. La scienza ha prolungato di molto la vita e in noi è cresciuta sempre più l’idea di poter allontanare di gran lunga la morte. Oggi uno sconosciuto ed invisibile virus ci impone qualcosa di nuovo: la percezione della nostra vulnerabilità. Perché è una questione di percezione. L’uomo è immerso nell’illusione di essere forte e invincibile, non ha consapevolezza della sua fragilità perché l’era tecnologica ha modificato tutto, persino i concetti di spazio e tempo. Tutto è raggiungibile, realizzabile immediatamente. Una specie di delirio di onnipotenza ci ha divorato e non ce ne siamo accorti. Finché qualcosa ci ha costretti a prenderci cura delle parti più fragili di noi. La solitudine, le costrizioni, la precarietà, ci hanno obbligati ad ascoltare le voci turbolente che parlano di angoscia e di nemici da combattere. Abbiamo preso coscienza del fatto che non abbiamo le chiavi di tutto. Viviamo nell’epoca dell’istantaneità. La lentezza del tempo è annullata dalla comunicazione veloce, lo spazio non esiste più in quanto distanza e fra l’uno e l’altro l’incertezza si è piazzata sfacciatamente in casa nostra, senza chiederci il permesso. Ma la vulnerabilità può essere anche una risorsa perché ci consente di tornare a pensarci in modo relazionale, dove la relazione non è solo da intendersi come prossimità con l’altro, ma come prossimità all’ambiente, alla natura. Elena Pulcini, professoressa di Filosofia sociale presso l’Università di Firenze, ci dice “oggi si parla di un ingresso nell’era dell’Antropocene, nella quale tutto è prodotto dall’uomo ed è come se non ci fosse nulla al di fuori di noi e questo ci espone al rischio della follia narcisistica.” Forse è per questo che siamo così impreparati alla fragilità, al punto da negarne qualsiasi segno tangibile. Ci siamo costruiti un’illusoria fortezza, permeata dalla ricerca di perfezione che è diventata una specie di religione, di credo ufficiale che ha però mostrato altrettanto chiaramente quanto questo processo sia fragile e pieno di pericoli. Siamo come bambini che mettono le mani sugli occhi e credono di non essere trovati. L’esaltazione continua dell’autonomia ci ha portato a un enorme individualismo facendoci dimenticare un tema filosofico fondamentale: la naturale fugacità e dipendenza che contraddistinguono la condizione umana. Non siamo padroni incontrastati di noi stessi! Dalla consapevolezza di ciò dipendono la libertà e la qualità della nostra vita.