Il terzo atteggiamento etico descritto da Patanjali è Asteya, che possiamo paragonare al comandamento biblico del non rubare. Rubare, secondo Patanjali, significa prendere qualcosa che non ti appartiene o che non ti è stato donato liberamente, e questo va dal prendere qualcosa senza chiedere il permesso, al prendersi il merito di qualcosa che non si è fatto. Il desiderio di sottrarre gli oggetti, le capacità o gli attributi di un altro affonda le sue radici nella gelosia, nella competizione, nel desiderio di possedere, nel senso di insicurezza. Per molte persone non è pensabile rubare ciò che appartiene ad altri, tuttavia, il desiderio di possedere il bell’aspetto, il bel compagno o lo status sociale ed economico di un’altra persona, o altro ancora, è sempre in agguato ed è anch’esso una manifestazione di Ashteya. La qualità da sviluppare per non essere attanagliati dalla sofferenza è, dunque, il distacco. Ciò non vale, come dicevo prima, solo per la tendenza ad appropriarsi di cose materiali, evidente e facile da scoprire in se stessi, ma anche per tutte quelle situazioni in cui ci si appropria dei diritti altrui, come per esempio potrebbero essere delle semplici raccomandazioni derivanti da persone influenti che ci avvantaggiano immeritatamente, sfavorendo altri, oppure, attraverso gelosia e controllo, il volersi appropriare dei diritti e della libertà altrui. Le storie della cultura indiana come sempre ci aiutano a comprendere il senso di questi valori universali.
La storia del Maestro e del re Bharat.
“C’era una volta un re chiamato Bharat, uomo saggio e compassionevole. Amava i suoi sudditi come figli e lavorava molto duramente per la prosperità del suo regno. Giorno e notte non smetteva mai di lavorare e raramente si riposava. Questa mancanza di riposo iniziò a creare in lui uno stato di malessere. Il suo Maestro un giorno venne a visitarlo e questo uomo saggio capì cosa stava succedendo. Il Maestro ed il discepolo stavano facendo una passeggiata nel bellissimo giardino del palazzo. Il Maestro gentilmente suggerì al Re di riposarsi qualche ora e lo rassicurò che sarebbe stato sicuramente meglio. Il Re educatamente rispose ‘Come posso riposarmi, c’è così tanto da fare, devo farlo per la mia gente’. Il Maestro si limitò a sorridere e continuò a camminare. Arrivarono nei pressi di un bellissimo albero ed il Maestro corse verso l’albero, lo abbracciò e disse ad alta voce: “Lasciami andare, perché mi stringi così forte albero, lasciami andare”. Il re era sconcertato e chiese al Maestro cosa stesse succedendo senza ottenere risposta. La cosa andò avanti per alcuni minuti e finalmente il Re disse: “Maestro, non è l’albero a trattenere voi ma siete voi a trattenerlo. Lasciatelo e sarete libero”. Con calma il Maestro lasciò andare l’albero e disse “ Esatto!“. Allora Bharat capì il suo errore, da quel giorno delegò parte del suo lavoro per riposarsi di tanto in tanto ed iniziò a osservare e prendersi cura di se stesso”.
La domanda è: verso cosa sviluppiamo il desiderio di possesso? Riusciamo ad essere grati anche dei difetti delle persone che ci sono accanto? Sappiamo ritagliare dei momenti di piacere disinteressato? Dovremmo cercare di sviluppare lo stesso atteggiamento che assumiamo quando guardiamo un bel tramonto, il cielo, o le stelle. Godiamo della loro bellezza senza desiderare di portarli a casa.
surya