Fragilità deriva dal latino fragilem, la stessa radice di frangere, rompere. Parliamo, dunque, della facilità di rompersi che è propria delle cose delicate ma anche di quelle più pregiate. Mi ha sempre affascinato questo concetto così sfuggente e così ambiguo allo stesso tempo. Man mano che diventiamo più consapevoli della mutevole, e a volte drammatica, condizione umana, perdiamo la capacita di metterci in gioco, per paura, appunto, di romperci. Ci appare fragile, d’altro canto, anche l’uomo che porta nel mondo il suo passo fiero e sicuro, assolutamente pago dell’ovvio e dell’inequivocabile, vulnerabile proprio per quella sua mancanza di consapevolezza che lo porta ad agire sotto l’influsso di un incantesimo chiamato vincolo, o condizionamento.
Poi c’è la fragilità intesa come paura di trovarsi impreparati davanti alle sfide della vita, in un sistema cinico dove a sopravvivere sono i forti. Abbiamo paura a chiedere aiuto per il timore di essere manipolati, temiamo di essere dei perdenti, perché il luogo comune vuole che il pianto sia fragile.
Ma noi siamo tessuti di relazioni e non c’è nessuno che possa bastare a se stesso. “L’uomo non è che una canna, dice Pascal, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo”. Se pensiamo all’intreccio sottile dell’amore, dell’amicizia e delle nostre relazioni in generale, i cui fili si tendono grazie alla sensibilità e alla tenerezza, comprendiamo bene il pensiero di Pascal. Queste trame invisibili, così fragili e così forti, così piene di contraddizioni, sono caratterizzate da un’unica cosa: l’impermanenza, la fragilità dei tessuti, dove sguardi incerti si dissolvono sotto un cielo ingannevole.
Nella cultura giapponese, quando un oggetto si rompe, viene incollato con una lacca e poi coperto di polvere d’oro, mediante una tecnica chiamata “Kintsugi”. La loro cultura trae da questo semplice gesto un altrettanto semplice filosofia di vita: ciò che si rompe non perde la sua bellezza e il suo valore, anzi, rivela una preziosa fragilità che lo rende unico.
Difficile è ricordarlo ai tempi nostri dove il potere, in tutte le sue forme, viene esaltato e vissuto come la condizione essenziale senza la quale non è possibile condurre una vita ricca di senso. Per questi motivi si tende ad eclissare la fragilità umana. Eppure, la vera bellezza, è fatta di fragilità, poiché non affonda le sue radici in un’effimera esteriorità ma nel reale, nell’essenza stessa delle cose, quell’essenza che ci ha regalato, attraverso la letteratura e la poesia, i versi più evocativi. L’uomo è contrassegnato dal confine del fallimento e della morte e fatica a riconoscere che la fragilità non è un sintomo da curare, ma un’espressione irrinunciabile del nostro essere nel mondo. Essa è per l’anima il respiro che ancora ci permette di cercare quell’infinito a cui l’uomo da sempre anela.
surya